Il risveglio
Pippo Delbono
Teatro Astra
6 > 10 novembre 2024
C’è un addormentamento all’origine de Il risveglio. Quello dell’uomo che alla fine di Amore – il precedente spettacolo di Pippo Delbono – andava a sdraiarsi sotto l’albero secco che d’improvviso si era coperto di fiori. E l’uomo restava lì, assopito in quel sonno che ci ha lasciati spaventati e silenziosi. Sonno da cui ora sente la necessità di risvegliarsi, scontando la possibilità di trovarsi di fronte a una realtà ancora peggiore di quella di prima. Prima della pandemia che ha chiuso tutti in casa. Prima delle guerre scoppiate alle porte di casa. Prima del ritorno di ideologie che pensavamo appartenessero al passato. Il risveglio parte da un’esperienza personale per rovesciarsi in un sentimento di perdita che riguarda tanti. Che chiede di essere sanato, ma può esserlo soltanto a partire da un gesto di solitaria ribellione. Dal riconoscimento di una fragilità di cui lo spettacolo è lo specchio.
I fantasmi del mio spettacolo sono le cose che non ci sono più, le musiche che non si sentono più, le rivoluzioni, gli anni ‘70, tutti quei venti di rivolta che per anni non ci sono stati più.
Pippo Debono
La canzone della Playlist Fantasmi scelta da Pippo Delbono
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C’era una pubblicità molto bella in televisione tanti anni fa, quando ero piccolo. In quella pubblicità c’era un uomo molto grasso che andava a dormire e quando si risvegliava era diventato magro. E così iniziava a correre e a gridare: La pancia non c’è più! La pancia non c’è più! La pancia non c’è più! La pancia non c’è più! C’era un’ironia e allo stesso tempo una drammaticità in quella vecchia pubblicità in bianco e nero che vorrei ritrovare in questo spettacolo. In uno spazio nudo che potrebbe ricordare un deserto vedo degli esseri che camminano come automi, che si danno la mano come per proteggersi da un pericolo che incombe. Sulle note struggenti di un violino e un violoncello che suonano lamenti di amore e tenerezza questo camminare diventa una danza a volte gioiosa, a volte melanconica, a volte triste. Come in un funerale, forse. Abbiamo passato un lungo periodo, di due anni o più, nel quale abbiamo vissuto una peste. Come quella di Camus o di Manzoni. Una peste che non finiva mai. Che ci ha reso solitari, diffidenti, tristi e poveri di spirito.
Non uscivamo più, dovevamo proteggerci con delle maschere, come gli automi. Le persone morivano come animali senza poter essere visti per l’ultima volta dai loro cari. È stato un dramma che ci ha segnato la vita. Mi hanno raccontato che in quel tempo in cui gli uomini dovevamo stare rinchiusi gli animali non avevano più paura e si riprendevano i loro spazi, si avvicinavano alle case, entravano nei giardini, gli uccelli si annidavano nelle terrazze e nei balconi. A Venezia per la prima volta si vedeva il fondo del canale. E lo stesso succedeva nei laghi e nei fiumi. Era come se la natura si fosse risvegliata, eppure era il tempo della grande peste che aveva colpito tutto il mondo. Poi ci siamo risvegliati anche noi. E piano piano abbiamo iniziato a dimenticare un po’ quell’incubo. Io nei mei spettacoli ho spesso parlato attraverso parole di autori e poeti che ho reso mie. In questo spettacolo invece vorrei che i testi fossero tutti scritti da me. Ho composto delle poesie, che sono nate da un profondo lavoro di introspezione, di viaggio dentro di me, dopo un lungo periodo di dolore mio personale, durato vari anni. Che ha corso in parallelo al dolore della peste e delle tante guerre scoppiate nel mondo. Altre poesie sono nate insieme alla musica di un grande violoncellista italiano, Giovanni Ricciardi, con brani da lui rivisitati di musica classica, contemporanea e sperimentale.
La musica sta nascendo grazie anche alla collaborazione del chitarrista Pedro Jóia, con il quale ho lavorato in “Amore”, e Alexander Balanescu, il grande violinista rumeno che ha già lavorato con me in due spettacoli e un film. Io amo la Romania. La sua storia, la sua ironia mista a drammaticità, i suoi risvegli. Per me è importante che ci siano paesi, lingue, culture e vissuti diversi in uno spettacolo che si arricchisca dalle tante diversità. E vorrei fare uno spettacolo che racconta cose molto personali ma anche che appartengono a tutti noi. Mi ricordo che quando ero stato a Sarajevo appena finita la guerra, avevo scoperto che molte persone erano morte non durante l’assedio ma subito dopo, quando era ormai finito. L’energia interiore tesa a sopravvivere, a difendersi, era venuta meno.
Durante l’orrore e il dolore le persone combattevano disperatamente per continuare a vivere, dopo la guerra sono stati colpiti dalle malattie, non avevano più la forza di proteggersi. Non lottavano più per continuare a esistere. Si erano risvegliati alla vita ma la vita aveva detto loro che paradossalmente il loro risveglio stava in quel lottare. Per vivere. Il Risveglio sarà uno spettacolo sulle tante cadute e i tanti risvegli. Miei, nostri, di tutti, del mondo. Lo dedicherei a tutti coloro che si sono addormentati e si sono poi risvegliati. E anche a chi non si è ancora risvegliato. Mi ricordo una frase di Gianni Celati che mi ha molto accompagnato: “Tutto quello che si sa è che bisogna continuare, continuare, continuare come pellegrini nel mondo, fino al risveglio. Se il risveglio verrà”. È passato il tempo di soffrire. Ora aspetto il tempo di rinascere. Senza più paure. Come un’aquila. Che sta a lungo nel nido e poi finalmente spicca il volo.
E ho paura del cielo.
Ho paura della luce.
Sono stato a lungo nella penombra.
Ma ti prego, luce che sei in me.
Fammi risalire.
Come le aquile.
A partire dalla sua fondazione, la Compagnia Pippo Delbono ha raccolto al proprio interno un nucleovariegato di artiste e artisti che si è avvicendato nel nutrire, arricchire e declinare il linguaggio del regista. Un gruppo di compagni di viaggio appartenenti a diverse generazioni, che ha portato in tutto il mondo gli spettacoli, svolgendo un ruolo centrale nella costruzione di un immaginario. Dolly Albertin, Gianluca Ballarè, Margherita Clemente, Ilaria Distante, Mario Intruglio, Nelson Lariccia, Gianni Parenti, Pepe Robledo e Grazia Spinella – che portano con sé la memoria di Bobò, scomparso nel 2019 – compongono un coro di corpi e di colori, una voce muta che si leva a controcanto di un universo di simboli e significati, tutt’uno con la poetica di Pippo Delbono e in stretta relazione con le emozioni del pubblico.
Orari
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Mer 06 Novembre19:00
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Gio 07 Novembre20:00
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Ven 08 Novembre21:00
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Sab 09 Novembre19:00
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Dom 10 Novembre17:00
Crediti
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uno spettacolo di
Pippo Delbono -
con la Compagnia Pippo Delbono:
Dolly Albertin, Gianluca Ballarè, Margherita Clemente, Pippo Delbono, Ilaria Distante, Mario Intruglio, Nelson Lariccia, Gianni Parenti, Giovanni Ricciardi, Pepe Robledo, Grazia Spinella e cast in via di definizione -
collaboratori musicali durante la creazione
Alexander Bălănescu, Pedro Jóia, Giovanni Ricciardi -
luci
Orlando Bolognesi -
costumi
Elena Giampaoli -
suono
Pietro Tirella -
capo macchinista
Enrico Zucchelli -
organizzazione
Davide Martini -
produzione esecutiva
Emilia Romagna Teatro ERT / Teatro Nazionale -
co-produzione
Teatro Stabile di Bolzano, Teatro Metastasio di Prato, Théâtre de Liège, Sibiu lnternational Theatre Festival/Teatrul Național “Radu Stanca” Sibiu,Teatrul Național “Mihai Eminescu” Timisoara, Istituto Italiano di Cultura di Bucarest, TPE – Teatro Piemonte Europa/Festival delle Colline Torinesi, Théâtre Gymnase-Bernardines – Marseille -
in collaborazione con
Centro Servizi Culturali Santa Chiara di Trento, Le Manège Maubeuge – Scène Nationale