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TPE NEWS

Ottobre 12, 2023

Sabato 14 ottobre comincia il Festival delle Colline!

Lina Majdalanie e Rabih Mroué mettono in scena i testi di tre scrittori libanesi, che raccontano non solo l’esilio ma anche momenti delle loro vite trascorse in un paese che hanno dovuto abbandonare. Verso nuove nazioni, diverse classi sociali, lingue, religioni, identità di genere. Lo spettacolo HARTAQAT apre il Festival delle Colline Torinesi 28.

Scopri la promozione dedicata: partecipa allo spettacolo di apertura – HARTAQAT di Lina Majdalanie e Rabih Mroué sabato 14 ottobre ore 21 al TPE Teatro Astra – approfittando della promozione: due spettacoli, HARTAQAT + uno spettacolo a scelta (oppure 2 biglietti per HARTAQAT) a € 22. La promozione è online qui oppure in biglietteria al Teatro Astra.

Lo spettacolo segna alcune novità nella pratica teatrale degli artisti libanesi – ma residenti a Berlino – Lina Majdalanie e Rabih Mroué. Da una parte c’è la collaborazione con tre autori/autrici, poiché raramente i due hanno messo in scena testi pre-esistenti né tantomeno scritti biografici; dall’altra, il confronto con altre tre diverse discipline artistiche.

I tre testi che Lina Majdalanie e Rabih Mroué hanno commissionato e messo in scena, pur nella diversità di linguaggio e tonalità, sono accomunati dal tema della “frontiera”: in ciascuno di essi, infatti, vi è un peculiare modo di approcciare il desiderio, la tentazione, la volontà di attraversare o di abolire delle frontiere, fisiche e metaforiche.

In Incontinence [Incontinenza] Rana Issa, narrando la vicenda di sua nonna Izdihar, rifugiata palestinese in Libano, ripensa, decostruisce e analizza le nozioni di Oum (madre), Oummiyya (analfabeta, analfabetismo) e Oumma (comunità, nazione), le eredità positive e quelle negative, le rotture desiderate o forzate, il minaccioso ritorno del passato.

In Mémoires non fonctionnelles [Memorie non funzionali] il poeta, saggista e giornalista Bilal Khbeiz rievoca sconfitte e tradimenti subiti in Libano, paese dal quale è stato costretto a fuggire. Egli, però, non aspira alla vendetta ma, al contrario, cerca di trarre beneficio dalla propria sconfitta, approfondendo anche la riflessione politica e filosofica sul mondo contemporaneo.

In L’imperceptible suintement de la vie [L’impercettibile trasudare della vita] Souhaib Ayoub, anche interprete, parte dalla constatazione di come «le identità si intreccino con le forme urbane, sociali e politiche prodotte dalla città», per affermare come lui stesso sia una delle molteplici immagini che rispecchiano le trasformazioni e le strutture della sua città d’origine, Tripoli. Il suo racconto di sé in scena, dunque, è il racconto della sua città. Tripoli e poi anche Parigi, dove giunge come rifugiato politico.